PROLOGO
Khamiskan,
Europa Orientale, non molto tempo fa.
L’uomo si muoveva con prudenza per le strade della capitale dove non era
prudente avventurarsi dopo il tramonto almeno per le persone per bene,
categoria quasi sconosciuta in quei luoghi del resto.
Diceva di chiamarsi
Maxim Maximovitch Isayev, ma era chiaramente un nome falso dal momento che era
lo stesso del protagonista di una serie di romanzi di spionaggio che erano
stati molto popolari in Unione Sovietica tra il 1966 ed il 1990. Evidentemente
o contava che i suoi interlocutori non fossero esperti di letteratura popolare
sovietica o semplicemente non gli importava.
L’uomo che lo stava
aspettando e ne spiava l’arrivo in un magazzino apparentemente abbandonato
sospettava, anzi aveva la certezza, che fosse un agente di uno dei servizi
segreti russi, ma la cosa non aveva una grande importanza nemmeno per lui.
Isayev si fermò davanti
all’ingresso del magazzino. Si guardò intorno per assicurarsi di essere solo,
poi entrò. Il luogo era buio e lui usò la torcia del suo cellulare per dare
un’occhiata in giro. Sembrava vuoto ma in un angolo c’erano delle casse con un
logo che lui conosceva bene.
-Sono proprio quelle che cerchi.- disse una
voce alle sue spalle.
Isayev
si voltò di scatto e si trovò di fronte un uomo il cui volto era in ombra.
-Che…?- esclamò.
-Sei puntuale, cosa rara di questi tempi.-
replicò l’altro con calma.
-Non sono il tipo che perde tempo. Questo è un
affare importante e…-
-Sai, ci ho ripensato… il materiale non è in
vendita. Non a te, almeno.-
-Non capisco. Credevo fossimo d’accordo.-
-Oh sì che capisci. Vorrei dire che mi
dispiace… ma non è vero.
Uno
sparo rimbombò nel capannone vuoto e l’uomo che diceva di chiamarsi Isayev
cadde a terra colpito al cuore. L’uomo che gli aveva sparato si chinò su di lui
e ne constatò la morte.
Altri
uomini entrarono subito dopo e lui indicò il cadavere.
-Fatelo sparire.- disse loro.
Gli
uomini presero il cadavere, lo ficcarono in un sacco e lo presero a braccia
portandolo fuori.
-Assicuratevi di pulire tutto. Le cosiddette
autorità di qui sono ben pagate per non ficcare il naso nei nostri affari, ma è
sempre meglio non correre rischi.-
Uscì
anche lui all’aperto e contemplò il cielo stellato e rifletté. Non era sorpreso
che i russi avessero avuto sentore delle sue attività ed avessero mandato un
agente sotto copertura. Per sua sfortuna lui aveva potuto smascherare il suo
gioco.
Ne
avrebbero mandato un altro, questo era certo, forse anche più di uno. Non si
faceva illusioni al riguardo, ma con un po’ di fortuna sarebbe stato troppo
tardi.
Numero 21.
DALLA RUSSIA CON AMORE[1]
di Carlo Monni
1,
Un locale di lap dance a Brighton
Beach, conosciuta anche come Little Odessa, Brooklyn, New York City. Due giorni
fa. Entrai guardandomi con discrezione in giro. Non ero troppo sicuro
che non mi aspettasse qualche brutta sorpresa. Nel mio tipo di lavoro sono
abbastanza frequenti.
Le luci erano basse,
per non dire quasi inesistenti, a parte i grandi fari puntati sulle pedane dove
belle ragazze si dimenavano intorno ad un palo indossando un paio di stelline
di strass sui capezzoli ed un triangolino dello stesso materiale sul pube,
giusto quanto basta per rispettare le leggi statali sul divieto del nudo nelle
esibizioni. Gli altoparlanti sparavano a tutto volume musica che faticavo a
riconoscere come tale. Mi sentivo come un dinosauro in quell’ambiente, ma
dopotutto non ero lì per divertimento.
Tenendomi rasente ad
una parete, raggiunsi l’ingresso di uno dei salottini privati e subito un
energumeno che doveva aver fatto un’indigestione di steroidi mi si parò
davanti:
-Non si può entrare. Riservato.- disse con marcato accento russo.
-Non per me.- replicai tranquillo -Mi manda Karla.-
Il tizio non aveva
l’aria particolarmente intelligente ma doveva essere stato avvertito perché si
spostò e mi fece cenno di entrare, cosa che feci senza perdere tempo.
Era passato un bel po’
di tempo da quando avevo partecipato ad un gioco da spie vecchio stile e
mentirei se non ammettessi che la cosa mi divertiva, in fondo sono anch’io
vecchio stile, molto vecchio stile, più dell’uomo che mi stava aspettando nel
salottino
Viktor Vassilievitch Komarev era il membro
russo del Comitato di Sorveglianza dello S.H.I.E.L.D, e tutto sommato era uno
in gamba per essere un politico. Ci stimavamo abbastanza da darci del tu. Lo
conoscevo abbastanza bene da sapere che se aveva chiesto il mio aiuto nel più assoluto
segreto era perché c’erano in ballo guai molto grossi.
Mi chiamo Nicholas
Joseph Fury, sono il Direttore Esecutivo dello S.H.I.E.L.D. e nel mio lavoro i
guai, specialmente quelli grossi, non mancano mai.
Khamiskan, Europa
Orientale, L’aereo
atterrò puntuale all’aeroporto della capitale del Khamiskan ed i passeggeri che
ne scesero si misero in fila per i minuziosi controlli a cui le paranoiche
autorità locali sottoponevano chiunque entrasse o uscisse da quella piccola
nazione che aveva da poco dichiarato la propria indipendenza e che era
minacciata dal suo potente vicino,
Tra
i passeggeri c’era un giovanotto dai capelli castani e gli occhi chiari che
dimostrava circa una trentina d’anni. Era elegante e ben vestito, sembrava un
uomo d’affari ed in un certo senso era vero, anche se il tipo di affari che era
solito trattare non erano molto convenzionali.
Porse
diligentemente al funzionario dell’immigrazione il passaporto sfoggiando quello
che sperava sembrasse un sorriso cordiale.
Il
funzionario, che indossava una passabile imitazione della divisa del defunto
KGB, gli restituì uno sguardo torvo.
-Apra la sua valigetta.- disse all’altro senza
nemmeno disturbarsi ad aggiungere “per favore”.
Il
giovanotto aprì la sua valigetta ventiquattrore in modo che solo il poliziotto
potesse vederne il contenuto, poi disse in un russo quasi del tutto privo di
accenti particolari:
-Mi auguro che sia tutto a posto, agente.-
Ci
fu una breve pausa, poi l’uomo disse:
-Temo che dovrò sequestrare alcune delle sue
riviste. Si tratta di materiale non ammesso in Khamiskan. Se vuole, potrà
riaverle alla sua partenza.-
-Uhm… è seccante ma temo che non ci si possa
fare niente sbaglio?-
-Non sbaglia.-
L’uomo
estrasse un fascio di riviste dalla valigetta, poi la richiuse e la restituì al
viaggiatore dicendo:
-Spero che abbia un soggiorno piacevole, Gospodin Alexiev.-
L’altro
si limitò ad abbozzare un sorriso e si avviò all’uscita fermandosi solo per recuperare
il resto dei suoi bagagli che avevano superato l’ispezione. A dire il vero, non
erano stati nemmeno aperti, tutto merito del vero contenuto importante della
sua valigetta. Tutto era andato come previsto anche se gli era costato qualche
migliaio di dollari del fondo spese.
All’uscita
dall’aeroporto chiamò un taxi e si fece portare ad uno dei migliori hotel della
capitale che si rivelò essere un classico esempio di architettura sovietica.
Sembrava di essere stati catapultati indietro nel tempo nella Mosca del 1952,
magari ai turisti la cosa sembrava divertente.
Una
volta nella sua suite il giovanotto si tolse la giacca, poi aprì una delle
valigie, fece scattare un doppio fiondo da cui estrasse una serie di oggetti
che assemblò rapidamente fino a ricomporre una pistola con silenziatore
perfettamente funzionante. Con gesto sicuro inserì il caricatore e scarrellò
spingendo un proiettile in canna. Ripose la pistola in una fondina che si
assicurò all’ascella per poi rimettersi la giacca, quindi verificò il resto
dell’attrezzatura. Tutto sembrava a posto.
Mike
Fury era pronto all’azione.
Quartier
Generale dello S.H.I.E.L.D., Turtle Bay, Manhattan, New York City, oggi.
La palestra che si trovava nel piano interrato dell’edificio che ospitava
l’Accademia dell S.H.I.E.L.D. era vuota a quell’ora del mattino a parte un
afroamericano robusto e muscoloso dalla testa rasata ed una benda nera
sull’occhio sinistro che si stava allenando provando e riprovando varie mosse
di arti marziali come se stesse combattendo contro un avversario invisibile.
Un
rumore di tacchi gli fece interrompere i suoi esercizi e girare di scatto. Si
trovò di fronte una donna attraente ed elegante dalla pelle color dell’ambra
che denunciava ascendenze miste.
-Non ho intenzioni ostili, Sergente.- disse
sorridendo e con un piacevole accento dei Caraibi.
Lui
si diresse verso di lei tendendo la mano e dicendo:
-Non ne dubitavo Miss…-
-Weaver. Anne Weaver. Sono la Direttrice dell’Accademia
sia pure ad interim. Ho saputo che era qui ed ammetto che ero curiosa di
conoscerla.-
-Non so se sono contento di essere oggetto di
curiosità.-
-Temo che dovrà abituarcisi in futuro, visto il
suo nome. A proposito, devo chiamarla Fury o Johnson come nella sua domanda di
ammissione?-
Lui
si strinse nelle spalle, abbozzò un sorriso e poi rispose:
-Come preferisce. Ho preferito usare Marcus
Johnson perché mi permette di avere un certo anonimato che non mi dispiace in
queste circostanze. Vorrei essere giudicato per chi sono e non perché sono il
figlio di Nick Fury.-
-Ho letto il suo curriculum e sono rimasta
impressionata. Non credo che debba dimostrare niente a nessuno.-
-Tranne che a me stesso… come devo chiamarla:
Miss Weaver? Direttrice Weaver?-
-Anne andrà benissimo.-
-Ok, allora io sono Nick. Se mi dai cinque
minuti per fare una doccia e cambiarmi, possiamo continuare questa
conversazione davanti ad un buon caffè.-
-Aggiudicato.-
-A tra poco allora.
Nicholas
Joseph Fury Jr si allontanò rapidamente verso il locale delle docce mentre Anne
Weaver rimase ferma a riflettere su chissà cosa.
Un
quarto d’ora dopo erano nella caffeteria della sede dello S.H.I.E.L.D. e
stavano consumando una robusta colazione all’americana.
-E così alla fine hai deciso di entrare nello
S.H.I.E.L.D.- stava dicendo Anne Weaver.-
-Da quando ho perso l’occhio sono fuori dalle
Forze Speciali dell’Esercito. Potrei fare l’istruttore ma non mi ci vedo. Sono
un uomo d’azione.- rispose Nick Jr.
-Allora, credo proprio che nello S.H.I.E.L.D.
ne troverai in abbondanza.-
-È proprio quello che voglio.-
2.
Little Odessa, Brooklyn, New York City. Due giorni fa. Komarev mi saluto con cordialità e mi invitò
a sedermi, poi disse:
-Ho saputo che hai avuto qualche guaio durante il tuo viaggio all’Aja.-[2]
-Come tutti i diplomatici, hai un vero talento per l’understatement,
Viktor - replicai con un sorriso sedendomi davanti a lui -Diciamo che non è
stata una passeggiata. Ora, però passiamo a discutere del tuo problema. Mi
avevi accennato qualcosa quando ci siamo sentiti l’ultima volta[3] ma non sei entrato nei
dettagli, poi non mi hai fatto sapere nulla fino a quando non hai fissato
questo… incontro clandestino.-
-Con le tensioni che ci sono ultimamente tra il mio paese e le Nazioni
Unite non era il caso di vederci ufficialmente. Sono certo che lo capisci.-
-Paura che qualcuno ti offra della vodka corretta con il polonio?-
replicai sogghignando.
Komarev fece una smorfia
ed agitò una mano come se volesse scansare un pensiero molesto. Lo capivo molto
bene.
Decisi di riportare il discorso sul motivo
per cui ero lì:
-Quello di cui di cui volevi parlarmi aveva a che fare con la scomparsa
di materiale, diciamo così, che scotta, Ricordo bene?-
Komarev era decisamente in imbarazzo. Doveva essere difficile per lui
parlare del suo problema ma alla fine lo avrebbe fatto.
-Esatto.- confermò -Quel… materiale è ricomparso di recente.-
Mi feci più attento e
chiesi:
-Dove?-
Lui rispose con un’altra domanda:
-Hai mai sentito parlare del Khamiskan?-
-Certo, se lo hai dimenticato, è
parte del mio lavoro sapere certe cose. Era una repubblica autonoma all’interno
delle repubbliche sovietiche. Dopo la dissoluzione dell’U.R.S.S. ha dichiarato
unilateralmente la sua indipendenza, una situazione non nuova. È stata
riconosciuta da poche nazioni affiliate all’ONU, mentre la Federazione Russa la
rivendica da sempre come parte del suo territorio anche se non ha mai preso
iniziative concrete per annettersela, almeno finora.-
-In effetti è così. Il Khamiskan fino a non molto tempo fa si definiva
ufficialmente l’ultimo Stato Comunista d’Europa ma sotto la facciata era solo
un covo di criminali che facevano affari con tutti approfittando della situazione
internazionale… o almeno era così fino all’elezione del suo attuale Presidente
che ha cominciato un vasto piano di riforme liquidando anche una buona parte
della nomenklatura.-
Non mi stava dicendo
nulla che già non sapessi, quindi passai subito alla domanda più ovvia:
-Se ho capito bene, il vostro… materiale scomparso adesso si trova in
Khamiskan, ma che c’entra lo S.H.I.E.L.D.?
Komarev sopirò e
proseguì:
-Hai ragione, Nick. Di recente ci è arrivata la notizia che il…
materiale in questione era in Khamiskan e che era nelle mani di un cosiddetto
consorzio internazionale intenzionato a venderlo al miglior offerente.-
-Un consorzio internazionale? Non sai dirmi di più?-
-Purtroppo no, Nikolai Yakovitch. Mi duole ammettere che né il G.R.U.[4] né l’S.V.R.[5] e nemmeno l’F.S.B.[6] sono riusciti a saperne di più.-
Annuii. Non avevo intenzione di dirgli che dopo la nostra conversazione telefonica mi ero messo in contatto con il mio capo divisione dell’Europa Orientale e che ne sapevo già abbastanza della questione. Lasciai che restasse sui carboni ardenti e si decidesse a proseguire.
-Se quel materiale dovesse cadere in certe mani sarebbe un disastro.- disse infine.
-Potreste ricomprarlo voi. Certo, vi costerebbe qualche milione di
rubli o di qualche altra valuta pregiata e forse non avete fondi a sufficienza
e nemmeno la certezza che i patti sarebbero rispettati.-
-Proprio questo è il problema. Abbiamo mandato un nostro agente sul
posto ma è scomparso.-
-Scomparso?-
-Proprio così. È come svanito dalla faccia della Terra. Evidentemente è
stato individuato. Il che implica una o più talpe nei servizi.-
-E lo S.H.I.E.L.D. cosa c’entra? Negli ultimi tempi i rapporti tra la mia
agenzia ed il tuo paese sono di nuovo tornati tesi, lo sai. Perché dovremmo
intervenire?-
Komarev sospirò quello
che stava per dirmi gli avrebbe fatto superare un confine che per lui era
quello tra una vita tranquilla e la possibilità concreta di essere ucciso. Alla
fine disse:
-Perché a rischio non c’è solo la stabilità di una parte del continente
europeo ma la stessa pace mondiale. Nessuno deve mettere le mani su quell’arma.
Nessuno. Mi capisci, Nicholas?-
Il fatto che usasse il
mio vero nome e non la sua versione russificata come faceva di solito era un
indizio di quanto fosse nervoso e preoccupato.
Serrai le labbra e finsi di riflettere poi
risposi:
-Non mi va l’idea che qualcuno se ne vada in giro ad offrire armi di
distruzione di massa al miglior offerente quindi ti aiuterò, Viktor
Vassilievitch, ma ad una condizione: voglio sapere tutto e intendo tutto su
quel cosiddetto materiale trasportato dal vostro aereo scomparso.-.
Komarev sospirò
ancora, ma sapeva di non avere altra scelta ormai.
Quartier Generale dello
S.H.I.E.L.D., Turtle Bay, Manhattan, New York City, ieri. La
Contessa Valentina Allegra De La Fontaine era il Secondo Vice Direttore
Esecutivo dello S.H.I.E.L.D. ed era una gran bella donna e ne era ben
cosciente. Indossava una versione attillata della classica uniforme che
lasciava poco spazio all’immaginazione e rendeva difficile al giovanotto seduto
davanti a lei concentrarsi sulle sue parole.
-Spero che tu abbia capito tutto.- disse infine
Valentina.
-Uhm, sì..- rispose lui -Sembra decisamente un
bel pasticcio. Quel materiale che i russi dicono di aver perso…-
-Sappiamo esattamente cos’è ed è vitale che non
cada in mani sbagliate. Ci sono già abbastanza pericoli per la pace mondiale
senza aggiungere anche questo.. Ti ritroverai a camminare sul filo del rasoio.
Non saprai di chi poterti fidare.-
-Non mi stai dicendo nulla di nuovo. Da quando
sono nello S.H.I.E.L.D. ho rischiato più volte di essere ucciso, rapito o
peggio. Sono abituato a rischiare.-
-Nick non è entusiasta che sia proprio tu ad
occuparti della questione ma ha dovuto arrendersi all’evidenza che tu sei il
più adatto grazie alla tua conoscenza dei luoghi e…-
-Ed a certe amicizie poco raccomandabili.
Tranquilla, Val. Me la caverò anche stavolta.-
Val
avrebbe voluto avere la stessa sicurezza ma aveva brutti presentimenti.
Da
qualche parte in Khamiskan. Oggi. L’uomo stava visionando i dossier dei
partecipanti all’asta. Molti erano rappresentanti di cosiddetti Stati canaglia,
altri erano emissari di organizzazioni private. Il recente collasso dell’Hydra
aveva aperto un vuoto che erano in molti a voler provare a colmare e quello che
lui aveva da offrire avrebbe dato a chi se lo fosse aggiudicato un sicuro
vantaggio.
L’uomo
sorrise. Che gli altri si nutrissero pure di illusioni, a lui interessavano
solo i soldi… e la vendetta, ovviamente, ma quella poteva aspettare.
Improvvisamente
l’occhio gli cadde su un’immagine ripresa dalle telecamere dell’aeroporto e non
potè trattenere un sorriso.
-Molto interessante.- disse.
3.
Sede
della Missione Permanente della Federazione Russa alle Nazioni Unite, 67°
Strada Est n. 136, Lenox Hill, Manhattan New York City. Ieri. I russi
avevano avuto decisamente buon gusto nella scelta della sede della loro
Missione all’ONU, pensò la donna che si era presentata all’ingresso quel
mattino.
Due tizi che
evidentemente appartenevano al Servizio di Sicurezza la guardarono perplessi ma
bastò che lei sventolasse davanti ai loro nasi il suo tesserino per convincerli
a farla passare senza discussioni.
-Sono qui per vedere il Consigliere Komarev.-
disse la donna.
Aveva certamente più di
quarant’anni ma, a parte questo, era impossibile capire la sua vera età.
Indossava un tailleur grigio sulle cui spalle ricadevano fluenti capelli rossi
che avevano tutta l’aria di essere naturali.
Una
zelante ed attraente segretaria le sorrise e disse:
-Il Consigliere la sta aspettando. Mi segua,
per favore.-
-Con molto piacere.- rispose la visitatrice
sfoggiando il suo migliore sorriso.
Pochi
minuti dopo la visitatrice era nell’ufficio del Consigliere Komarev che aspettò
che la segretaria fosse uscita per dire:
-E così, Anna Olegovna, hanno mandato te.
Questo è… inaspettato.-
-Purtroppo le tue… iniziative non sono passate
inosservate ed io ho ricevuto ordini precisi. Per rispetto a te, Viktor
Vassilievitch, ho deciso di occuparmene personalmente.- replicò Anna Olegovna
Derevkova, ufficialmente Vice Responsabile dei Visti presso il Consolato
Generale della Federazione Russa a New York, ma in realtà il rezident[7]
del S.V.R negli Stati Uniti.
-Grazie della cortesia.- replicò, sarcastico,
Komarev -Ora fai quello che devi fare e facciamola finita.-
Anya
Derevkova aprì la sua borsetta e ne trasse un piccolo revolver.
-Mi dispiace veramente, Viktor Vassilievitch.-
disse in tono sincero puntando l’arma contro di lui.
Capitale
del Khamiskan. Oggi. Dopo essermi rinfrescato un po’,
avevo deciso di fare un giro per la città per farmi un’idea del luogo e della
situazione. I media locali enfatizzavano la visita del Presidente nella vicina
Carpazia in vista di un futuro trattato di amicizia, possibilità che mi
lasciava decisamente scettico. Anche se mio padre è americano, la Carpazia è il
mio paese natale e per mia sfortuna conosco bene i suoi attuali governanti. Non
mi fiderei ad affidare loro nemmeno una banconota falsa.
Ero immerso nelle mie riflessioni e mi accorsi solo
all’ultimo istante di un’auto che mi si era affiancata rallentando.
Nel mio tipo di lavoro si impara a sviluppare una
specie di sesto senso per i possibili pericoli e fu sicuramente per questo che
mi accorsi della canna di una pistola che spuntava da un finestrino e riuscii a
buttarmi a terra prima che un proiettile mi trapassasse la testa. Rotolai sul
marciapiede mentre altri proiettili mi fioccavano intorno e finalmente riuscii
ad estrarre la mia pistola dalla fondina ascellare.
Mi misi in ginocchio e sparai un paio di colpi in
rapida successione riuscendo a colpire il retro dell’auto in fuga ma senza
riuscire a fermarla. La gente intorno a me urlava sconvolta e io riflettei sul
fatto che ero arrivato da poche ore e già la mia copertura era caduta. Avevo a
che fare con avversari decisamente molto efficienti.
Quartier Generale dello S.H.I.E.L.D., Turtle
Bay, Manhattan, New York City, ieri. La notizia che mi portò Gabriel Jones non mi arrivò per nulla
inaspettata.
-Viktor Komarev è morto.-
-Quando e come?- chiesi.
- È accaduto circa un’ora fa. La sua segretaria lo ha trovato con la
testa riversa sulla sua scrivania. Apparentemente si è sparato un colpo alla
tempia.-
-Apparentemente.- borbottai -Ma io e te sappiamo bene che in casi come
questi le apparenze spesso ingannano.-
Prima che Gabe potesse
aggiungere qualcosa, il mio telefono squillò. Riconobbi il numero e risposi
immediatamente.
<<Kolya, dobbiamo parlare.>> mi disse Anya Derevkova.
4.
Capitale
del Khamiskan. Oggi. Entrai nel salone e mi guardai intorno
con discrezione… o almeno lo speravo.
Mi sembrò che il mio ingresso fosse stato accolto
solo da sguardi ostili, ma forse era solo la mia paranoia.
Avevo avuto modo di riflettere prima di arrivare qui
dove si sarebbe svolta l’asta per il prezioso materiale bellico che i russi si
erano fatti fregare come dei cretini. Non era detto che avessero già scoperto
chi ero in realtà, forse qualcuno stava semplicemente cercando di sfoltire il
numero dei concorrenti per avere meno rivali al momento di fare le offerte.
La mia ispezione dette i suoi frutti: individuai
quasi subito un ex agente dell’Hydra sfuggito alla cattura. Chissà per chi
lavorava adesso? Non molto distante c’erano anche un paio di agenti del F.S.B.
russo, una bionda di origine estone che lavorava per la C.I.A. e con cui non mi
sarebbe dispiaciuto approfondire la conoscenza in un momento migliore, un
agente dello spionaggio francese ed anche altre vecchie conoscenze che non fui
troppo sorpreso di ritrovare lì.
Una bella combriccola, decisamente, e tra loro c’era
qualcuno che mi voleva morto, ma chi era davvero il suo bersaglio? Mikel
Alexiev l’imprenditore senza scrupoli che voleva acquistare un’arma di
distruzione di massa o Mike Fury, l’agente dello S.H.I.E.L.D. che doveva
impedire che cadesse in mani sbagliate? Erano domande oziose, almeno per il
momento.
Feci quello che speravo essere un sorriso crudele
alla James Bond e mi avvicinai al bancone del bar rivolgendomi quindi al
barman:
-Una vodka liscia per
me ed un gin tonic per la signorina.-
La giovane donna dai capelli neri che era alla mia
destra, seduta al bancone, mi guardò con un sorrisetto insolente e mi chiese:
-Era un tentativo di
approccio?-
-Solo un omaggio ad
un’amica che non mi aspettavo di rivedere proprio qui.- replicai.
-Il mondo è piccolo per
quelli come noi.-
-Anche troppo vero, mia
cara… qual è il tuo nome questa settimana: Willelmina Garvin, Petra O’Donnell,
Modesty Blaise?-
-Molto spiritoso…
Mikel. Se ci tieni a saperlo, sono qui con un oligarca russo che vive nel Regno
Unito. Anche lui è interessato alla famigerata superarma, o quello che è...-
-Vuoi dire che non sai
cos’è?-
-E tu?-
Prima che potessi rispondere un uomo uscì da una
porta laterale, si portò fino ad un palco allestito per l’occasione e disse con
voce stentorea:
-Signore e signori,
posso avere la vostra attenzione?-
Mi girai in direzione della voce e rimasi decisamente
sorpreso. Conoscevo l’uomo sul palco. Il problema è che avrebbe dovuto essere
morto.
Quartier Generale dello S.H.I.E.L.D., Turtle Bay, Manhattan, New York City, ieri. Finita
la telefonata, mi rivolsi a Gabe:
-Dobbiamo agire in fretta.-
Il mio vecchio amico,
nonché fidato collaboratore, assentì con un cenno del capo e poi replicò:
-So esattamente cosa fare.-
Uscì dal mio ufficio
lasciandomi a riflettere. Stavamo tutti camminando su uno strato di ghiaccio
molto sottile. Un solo passo falso ci sarebbe costato molto caro.
Capitale
del Khamiskan. Oggi. La mia ritrovata amica mi strinse
un braccio e mi sussurrò:
-Che ti succede? Sembra
che tu abbia appena visto un fantasma.-
-Non sai quanto hai
ragione.- replicai -Quell’uomo… il banditore dell’asta… dovrebbe essere morto.
Eppure eccolo qui fresco come una rosa… e non è la cosa peggiore.-
L’uomo in questione guardò nella mia direzione e mi
rivolse un sorriso. Cattivo. Non avevo più dubbi ormai: mi aveva riconosciuto
ed era stato lui a cercare di uccidermi poco prima o aveva incaricato dei
sicari di farlo.
Se non mi fossi inventato alla svelta qualcosa io e
la mia amica non saremmo usciti vivi dalla sala.
5.
Queens, New York City, oggi. Com’era
prevedibile aspettarsi, le autorità russe avevano rifiutato a quelle di New York
di indagare sul presunto suicidio di Viktor Komarev e di farne esaminare il
cadavere dal Medico Legale di New York usando il pretesto che il fatto era
avvenuto all’interno degli uffici della Missione Russa all’ONU che godeva del
privilegio dell’extraterritorialità. Fu disposto in tutta fretta il rimpatrio
della salma in Russia con un volo speciale che l’attendeva all’aeroporto
LaGuardia. Anche da morto Viktor Komarev godeva dei privilegi diplomatici.
Mentre
il carro funebre partito dalla sede della Missione russa a Lenox Hill
attraversava il Triborough Bridge diretto nel Queens avvenne qualcosa di
inaspettato: un’autocisterna che proveniva dalla direzione di marcia opposta
sbandò improvvisamente ponendosi di traverso. Il carro funebre non riuscì ad evitare
l’impatto contro il poderoso veicolo andando ad incastrarvisi.
L’autocisterna
nel frattempo proseguì la sua corsa e dopo aver sfondando il guardrail
precipitò nel sottostante East River trascinando con sé il carro funebre.
Entrambi i veicoli esplosero ancora prima di toccare le acque. Per una
straordinaria quanto fortunata coincidenza nessun altro veicolo rimase
coinvolto nell’incidente.
Viktor
Komarev non sarebbe mai più tornato in Russia.
Sede
del Consolato Generale della Federazione Russa a New York, Upper East Side,
Manhattan. Dieci minuti dopo. Anya Derevkova ascoltò il resoconto
telefonico di uno dei suoi agenti interrompendolo ogni tanto per rivolgergli
qualche domanda.
Una
volta chiusa la conversazione la donna si appoggiò allo schienale della sua
poltrona e chiuse gli occhi, un rituale che era solita osservare ogni volta che
doveva riflettere seriamente.
Tutto
era andato come previsto ed ora rimaneva un ultimo dettaglio da sistemare, il
più delicato e difficile di tutti.
Ancora
una volta sarebbe toccato a lei occuparsene personalmente.
Un piccolo molo di fronte al Luna Park di
Coney Island, Brooklyn, New York City. Oggi, tarda sera. Poche
cose possono essere più malinconiche di un Luna Park abbandonato. Mi metteva
tristezza ricordare com’era una volta, quando ci venivo da bambino con mia
madre. Mi sembrava come se fosse passato un secolo, e di fatto lo era.
Scacciai i pensieri
malinconici. Non ero venuto fin lì per abbandonarmi ai ricordi ma per questioni
molto più serie.
Sentii il suo profumo
ancora prima di vederla. Anya Derevkova uscì dall’ombra come se fino a poco
prima ne fosse stata parte. La cosa non mi stupì. Era stata addestrata in una
delle migliori scuole di spie del mondo dopotutto. Era proprio all’epoca in cui
era ancora una giovane agente sul campo che ci eravamo conosciuti e nonostante
fossimo in teoria su campi opposti eravamo stati intimi per un po’ di tempo e
la cosa aveva avuto delle conseguenze durevoli, diciamo.
-Ciao, Kolya.- mi disse. Era un suo vezzo chiamarmi con il diminutivo
russo del mio nome.
Non ero in vena di
convenevoli e così le chiesi:
-Perché hai voluto vedermi proprio qui?-
-Non è salutare per me farmi vedere in tua compagnia di questi tempi.
Qualcuno potrebbe pensare che io sia una traditrice.-
-Ed i presunti traditori o dissidenti del tuo governo hanno la tendenza
a morire in modo sospetto, dico bene?-
Lei non rispose subito
ma si limitò ad abbassare la testa. La sentii sospirare poi disse:
-Ci stiamo muovendo su un terreno minato, Kolya. Io…-
Non finì la frase.
Inarcò improvvisamente la schiena e barcollò in avanti come se fosse stata
spinta. Non avevo udito rumori ma era evidente che era stata colpita da un
cecchino. Mi piombò addosso e la forza dell’impatto mi fece perdere
l’equilibrio.
Un secondo dopo
piombammo entrambi in acqua.
CONTINUA
NOTE DELL’AUTORE
Poche
cose davvero da dire, quindi non perdiamo tempo:
1)
Una
cosa importante da dire è che in origine questa storia, o almeno parte di essa,
avrebbe dovuto essere molto diversa, ma gli avvenimenti internazionali degli
ultimi mesi mi hanno spinto a rivedere alcune cose. In ogni caso, mentre spero
che gradirete la storia, mi assumo ogni responsabilità per le opinioni espresse
dai personaggi e la descrizione ed interpretazione di certi eventi.
2)
Il
Khamiskan, una delle tante nazioni inventate che esistono nel Marvel Universe,
è stato creato da Dan Jurgens su Captain
America Vol. 3° #41 datato maggio 2001.
3)
Questa
storia e la successiva contengono alcuni riferimenti a personaggi della narrativa
spionistica internazionale che potrebbero anche essere familiari a qualcuno di
voi.
4)
A
questo proposito, ve lo sareste aspettato che l’Unione Sovietica prima e la
Russia poi avessero un omologo letterario e cinematografico di James Bond?
Eppure è proprio così.
5)
Chi
è il misterioso criminale che Mike Fury ha riconosciuto? Potrà uscire vivo
dalla trappola in cui si è cacciato? Chi è davvero la sua insperata alleata?
Che cosa è successo a Nick Fury? La risposta, ovviamente, nel prossimo episodio
che mi auguro possa sorprendervi e piacervi.
6)
Anche
questa storia, come altre di tematica spionistica che sto scrivendo in questi
ultimi tempi è dedicata con rispetto, ammirazione ed affetto a Stefano Di
Marino alias Stephen Gunn, purtroppo tragicamente scomparso nell’agosto 2021.
Carlo
[1] Con tante scuse a Ian
Fleming.
[2] Vedi ultimo numero.
[3] Sempre nell’ultimo
episodio.
[4] Glavnoje Razvedyvatel'noje
Upravlenije.
Direzione Principale Informazioni. Il servizio segreto militare della
Federazione russa
[5] Sluzhba Vneshney
Razvedki.
Il servizio di spionaggio all’estero della Federazione Russa.
[6] Federal'naya Sluzhba Bezopasnosti. Servizio di Sicurezza interna della Federazione Russa.
[7] Capo della rete di spie
russe in un paese straniero.